LE OPERE E ANTOLOGIA CRITICA

Burgio esprime il rapporto complesso e a volte tormentato con i suoi simili fin dalla più precoce produzione, realizzando una galleria estremamente articolata di topoi, in cui prevalgono i toni mesti e a volte lancinanti di un profondo malessere esistenziale. Sono quei famosi “invisibili”, di cui la società non si cura, fingendo di non vederli, se non addirittura travolgendoli col più cinico egoismo. Questo non riguarda solo gli emarginati per antonomasia, come prostitute o transessuali, ma anche onesti lavoratori, integerrime massaie e persino esponenti della piccola borghesia. I colori accesi, spesso stridenti, di questa multiforme umanità accentuano anziché attenuare la sostanziale angosciosa malinconia dei personaggi, raggiungendo a volte il muto strazio di un italianissimo Grido di Munch. Persino i soggetti in teoria più gioiosi come le maternità, vengono offuscati dal triste velo di un’inquietante mestizia, quasi un presagio di disgrazie future. Si tratta soprattutto di figure femminili, nelle quali l’artista adatta al suo personalissimo stile le più disparate citazioni, che vanno da Modigliani, a Kisling, Diego Rivera o addirittura alla ritrattistica cinquecentesca, come in Attesa (1981), dove acconciatura e abbigliamento riecheggiano le dame di Parmigianino o di Giulio Romano. Particolarmente vigorosi i protagonisti maschili, quasi esclusivamente scelti negli strati più bassi della popolazione: gagliardi muratori, solfatari morenti, spenti giubilati in ritiro e quant’altro. Non potevano ovviamente mancare gli autoritratti, da cui trasuda tutto il carattere insofferente del Maestro, specialmente in quello con sigaro del ’93.

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