GLI ANNI DELLA FORMAZIONE

Il primo disegno firmato da Burgio è Piroscafo Blu: una nave vista di trequarti su un placido mare. Era il 1951, quindi egli aveva solo dieci anni, ma l’irrequieto bambino sognava di partire per l'America; all’epoca l’unico mezzo per arrivarci era un bastimento e lui, Peppuccio, come era chiamato in casa, voleva andarci a tutti i costi. Sognava una vita diversa, in cui un giovane della sua età potesse ambire a un mondo migliore. Il quadretto era piccolo, circa quindici centimetri per dieci, e per farlo vedere a tutti l’artista in erba lo aveva incollato alla porta d'ingresso della sua casa. Piaque anche a Matteo Presti, il garzone che lavorava nel panificio del padre, un madonnaro che gli insegnò i primi rudimenti di disegno. «Avresti dovuto vedere le basole bianche della piccola banchina davanti al panificio. Era tutta una teoria di facce di Totò, di mani, occhi, piedi e teste con i capelli al vento» disse, molti anni dopo, in un’intervista alla cara amica Nuccia Grosso, giornalista, la primissima ad avere compreso il valore della sua pittura e che scrisse parecchio di lui. Possiamo dire che quella sia stata la sua prima mostra. Altro disegno di quel precocissimo periodo di approccio alla pittura, fu il Ponte Capodarso, anche questo realizzato con i pastelli. Pur essendo il migliore tra tutti quelli presentati per una premiazione scolastica (allora il nostro frequentava la quinta elementare), non fu premiato. Questa disavventura infantile lo ha condizionato per sempre, inculcandogli l’idea che gran parte dell'umanità sia intrisa di una cattiveria (o almeno di una squallida meschinità) che la spinge a non tenere in considerazione il merito, ma soltanto il censo. Da quel momento smise di dipingere, anche a causa di un professore di disegno che ebbe per tutta la durata della scuola media, il quale lo rimandava regolarmente a settembre. «Diceva che disegnavo corpi distorti e deformi» confidò sempre in quella intervista a Nuccia. A sedici anni riprese, cominciando a copiare i grandi maestri. Essendo fondamentalmente un introverso si avvicinò alla pittura espressionista, particolarmente ai pittori tedeschi e al gruppo italiano di “Corrente” (De Grada, Ferrata, Anceschi, Birolli, Bo, ecc.), senza trascurare Guttuso, Sassu Treccani o Pirandello. Si diplò geometra, ma la sua passione per l’arte lo indusse a prendere lezioni di disegno dal prof. Tullio Fonti il quale gli insegnò tutti i segreti della tecnica e che infine lo portò al diploma presso il Liceo Artistico di Palermo. Ma fare il pittore nella Caltanissetta degli anni Cinquanta non era facile, innanzitutto perché non aveva contatti con i colleghi; ve n’erano anche di bravi, ma lo snobbavano per la sua giovane età e poi non apprezzavano il suo stile, che sempre più si avvicinava all'espressionismo astratto, mentre molti di loro erano ancora legati al figurativo tradizionale. Fu un periodo difficile per Burgio. La casa in cui abitava era piccola per una famiglia come la sua: cinque figli, i genitori e la anziana nonna materna. Si sentiva come un leone in gabbia e questo a poco a poco influenzò il suo carattere, inasprendolo e rendendolo sempre più ribelle. Un giorno uno di quegli artisti che lui ammirava lo avvicinò offrendogli in vendita il proprio cavalletto e tutti i materiali, tele bianche comprese, dato che aveva deciso di smettere con la pittura; in città si vociferava che fosse uscito di senno... Il giovane artista accettò ma, vuoi per la mancanza di spazio, vuoi per la contrarietà del padre, chiese al più anziano maestro di temporeggiare per la consegna. Quando il fatidico giorno del recapito arrivò, Peppuccio finalmente si sentì “pittore”.

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